LA QUESTIONE DELL'ARTE - Nigel Warburton

Sintesi del saggio La questione dell'arte di Nigel Warburton - ed. Einaudi

introduzione

Per fare una riflessione su cosa sia l'arte l'autore prenderà in esame alcune teorie estetiche del '900 come pure alcune opere che il critico d'arte Harold Rosenberg ha definito «oggetti ansiosi».

_The Ambassador, il pavone vivo che Francis Alys ha presentato alla biennale di Venezia del 2001
_A real work of art, il cavallo di razza che Mark Wallinger ha indicato come vera e propria opera d'arte
_Fountain di Marcel Duchamp 

I sopra citati esempi sono opere d'arte che ci portano a considerare la questione dell'arte ed i legami che essa ha con la filosofia.

Scopo del libro è quello di «mettere a nudo una serie di posizioni indifendibili» e, portando esempi e contro-esempi su queste posizioni, compiere una riflessione su cosa sia l'arte. Verranno prese in esame le teorie di Clive Bell (Forma significante), Robin G. Collingwood (espressione emotiva), le considerazioni di Wittgenstein sulle somiglianze di famiglia e la teoria istituzionale.

capitolo 1
Forma significante

Clive Bell scrive nel 1914 un saggio - Art - nel quale propone una sua teoria sull'arte:
per Bell l'arte è forma significante. Un'opera d'arte, per essere considerata tale deve procurare nell'animo del fruitore una emozione estetica. Detta emozione è possibile se l'opera possiede un insieme di forme, colori e composizione tale che il filosofo definisce forma significante. Clive Bell è stato curatore di alcune mostre di Cézanne e ne è anche un profondo estimatore delle sue opere. Nell'esporre la sua teoria prende ad esempio il Lac d'Annecy del pittore post-impressionista e lo confronta con Paddington station, un dipinto di William Powell Frith del 1862.
Secondo Bell, Paddington station è una rappresentazione didascalica che mostra una stazione ferroviaria, un dipinto ben eseguito ma privo di forma significante e quindi non può essere considerato un'opera d'arte in quanto incapace di procurare una emozione estetica.

Le principali critiche a questa teoria

Le definizioni chiave «forma significante» ed «emozione estetica» sono due termini tecnici definiti uno nei confronti dell'altro in una circolarità viziosa.
La teoria viene accusata di essere élitista cioè non vi è metodo nello stabilire chi decide se un'opera possegga o meno la caratteristica di «forma significante»

Un'altra importante critica che gli viene mossa in particolare dallo scrittore e pittore David Lawrence è che questa teoria non tiene conto degli aspetti rappresentativi dell'arte realistica come pure non tiene in considerazione gli aspetti simbolici. Il genere della ritrattistica, per esempio, non può essere ridotto ad un mero intreccio di linee forme e colori: la somiglianza psicologica del soggetto rappresentato costituisce un valore importante per l'opera d'arte. Il critico d'arte John Berger fa notare che lo studio di un'opera come Le reggenti dell'ospizio di Alms di Frans Hals (1634) sarebbe inadeguato, se non si considerassero la rilevanza del contesto e le persone rappresentate. Per Berger la sola attenzione al formalismo da parte di Bell è insufficiente nello stilare una teoria sull'arte.

Per concludere, opere d'arte come i lavori concettuali di Beuys, Warhol o lo stesso Duchamp, lavori che sono ampiamente accettati nel mainstream del circuito dell'arte, non trovano invece considerazione alcuna in una teoria come quella di Clive Bell che a questo punto, appare evidente, è quanto meno inattuale.

capitolo 2
Espressione di emozioni

Robin G. Collingwood, un filosofo ed amante dell'arte britannico, figlio di un famoso acquerellista che è stato anche segretario di John Ruskin è di parere diverso, rispetto a Bell ed alla sua teoria formalista sull'arte.

Nel 1938, scrive The Principles of Art, un libro che vuole rispondere alla domanda Che cos'è l'arte?

Uno dei primi punti è quello di fare una distinzione fra arte e artigianato. Per Collingwood l'artigiano sa cosa vuol fare già prima di farlo, mentre per un'artista, sebbene a volte sia desiderabile, la progettualità non è un fattore vincolante. A questo proposito è interessante ricordare le parole di Picasso: «Non so in anticipo che cosa sto per mettere sulla tela, così come non decido in anticipo che colori usare». Inoltre la tecnica,  il mestiere, si apprende là dove è richiesto. I manufatti artistici possono richiedere competenza tecnica, però per Collingwood «tecnici si diventa, ma artisti si nasce» e l'impiego delle competenze tecniche non è un prerequisito necessario (sebbene riconosca che migliore è la tecnica posseduta, migliori i risultati). Il materiale grezzo che costituisce le opere d'arte sono tuttavia le emozioni.

Francis Bacon, in un'intervista dichiara che per lui è importante il fattore «sorpresa». Mentre sta lavorando capisce con l'istinto e risolve il problema di esprimere l'emozione che all'inizio era solo un'intuizione. La soluzione al problema non c'era prima di mettersi all'opera (qui si vedono delle analogie con la teoria estetica di Luigi Pareyson il quale afferma che l'artista inventa il modo di fare facendo). Per Collingwood arte è proprio espressione di emozioni. La contemplazione di un'opera d'arte da parte di un fruitore è anch'essa un gesto artistico in quanto l'osservatore entra in sintonia e rivive le emozioni trasmesse nell'opera da chi l'aveva inizialmente creata.

Per Collingwood l'arte magica  e l'arte ricreativa dovrebbero essere considerate due forme di artigianato, non vera e propria arte.

Per arte magica si intende quell'arte che serve ad uno scopo, come un inno nazionale che instilla il senso di patriottismo, mentre per arte ricreativa  si intende quella che ha per utilità il procurare un piacere edonistico o di intrattenimento. Per esempio, secondo Warburton, Collingwood catalogherebbe come arte ricreativa Psyco il film di Hitchcock, un'opera fatte per intrattenere il pubblico, non per una esigenza espressiva delle emozioni proprie del regista. Interessante notare che le opere di Shakespeare, create per intrattenere il pubblico, sono anch'esse ritenute arte ricreativa e quindi non vera e propria arte da parte del filosofo inglese.

Concezione espressionistica e concezione idealistica dell'arte

Oltre alla suddetta visione di arte come espressione, l'altra tendenza presente nel libro The Principles of Art è la difesa di una concezione idealistica dell'arte.

Per Collingwood l'arte non deve per forza possedere una fisicità fuori dalla mente dell'artista. Essa è già tale quando è presente nella testa di chi crea sotto forma di idea. Quindi per Collingwood un'idea può già essere opera d'arte. Inoltre, là dove le opere d'arte esistono fisicamente, l'osservatore può fare esperienza di esse in modo immaginario, oltre il visibile. Per esempio una persona che contempla il Lac d'Annecy di Cézanne può con l'immaginazione compiere un'esperienza tattile e vivere un'emozione all'interno del lago come si presuppone abbia fatto lo stesso Cézanne nel momento in cui lo dipinse.

Critiche alla teoria

Nel suo complesso, a questa teoria che chiaramente risente dell'influenza del filosofo italiano B. Croce (1866-1952) possono essere mosse due principali critiche:
_L'esclusione dallo status di opera d'arte di pressoché tutta l'arte sacra, che avendo scopo divulgativo e di propaganda apparterrebbe alla categoria artigianale dell'arte magica.
_L'inclusione nello status di opera d'arte di qualsiasi intenzione di esprimere una emozione, come pure lo status di artista attribuito all'osservatore nell'atto della contemplazione.

Le critiche alle teorie essenzialista/formalista (Bell) ed essenzialista/espressionista (Collingwood) ed il fallimento di altre simili teorie generali sull'arte, hanno portato i contemporanei a sostenere che l'arte in questi termini è indefinibile e cercarne l'essenza costituirebbe un errore logico.

capitolo 3
Somiglianze di famiglia

Negli anni '50 si incomincia a pensare che il termine arte non sia definibile secondo un comune determinatore che ne mostri l'essenza e si pensa che esistono termini che possono essere definiti solo in base ad un intreccio di caratteristiche comuni ma non necessarie o esclusive.

I filosofi dell'arte arrivano ad elaborare questo concetto sulle riflessioni di Wittgenstein il quale appunto era arrivato alla conclusione che termini come gioco o linguaggio non hanno una loro essenza comune ma possono essere capiti solo in base ad una rete di caratteristiche che si sovrappongono che Wittgenstein chiamerà somiglianze di famiglia.

Per chiarire il concetto Wittgenstein prende in esame il termine gioco e fa notare che in alcuni giochi si vince e si perde, in altri no. In altri ancora il divertimento è fondamentale mentre a volte la competizione è di gran lunga superiore al divertimento che scompare completamente. Ecco quindi che non esiste una unica caratteristica che indichi tutti e solo i giochi, così come una singola fibra non corre per tutta la lunghezza di una corda.

Wittgenstein non analizza nel concreto il concetto di arte, cosa che invece fa Morris Weitz nell'articolo The Role of Theory in Aesthetics 1956. Weitz, che possiamo considerare neo-wittgensteiniano, parla di arte come di un concetto aperto cioè un concetto che si riserva la possibilità, nel corso del tempo, di allargarsi ed includere nuove definizioni o condizioni all'interno di esso. Per Weitz non è possibile definire arte attraverso un concetto chiuso perché così facendo se ne danneggerebbe l'aspetto importantissimo della creatività. Rimane fondamentale per Weitz che il compito di ampliare questo concetto spetta in genere ad esperti, o a critici di professione. In altre parole l'arte si fonda su caratteristiche di innovazione ed originalità tali che se si provasse a chiuderne il concetto mettendo dei paletti, presto diventerebbe tutta uguale a se stessa e ce ne stancheremmo.

Critiche

I principali punti deboli della teoria di Weitz riguardano quali somiglianze siano da ritenersi utili nel confronto tra la presunta opera d'arte e casi paradigmatici precedenti, e a chi spettano queste scelte. Ad esempio l'Empire State Building ed uno spillo hanno molti tratti in comune: entrambi sono stati costruiti per uno scopo preciso, hanno una forma allungata e a punta, ma ciò evidentemente non basta a dire che in tutti e due i casi si tratti di grattacieli. In altre parole le somiglianze qui prese in considerazione non sono adeguate e la principale critica mossa a Weitz è appunto quella di definire quali somiglianze sono accettabili e quali invece no.

Inoltre, se per definire un'opera d'arte dobbiamo obbligatoriamente fare un riferimento con dei paradigmi precedenti, rimane il problema di come è stata definita la prima opera d'arte della storia: essa non aveva certamente casi paradigmatici con cui confrontarsi.

Il filosofo americano Maurice Mandelbaum (1908-1987) era scettico circa la teoria anti-essenzialista di Weitz. Il fatto che teorie essenzialiste precedenti quali quella di Bell oppure quella di Collingwood avessero fallito non è una certezza circa le possibilità di giungere ad una nuova teoria. Egli fa notare che nelle somiglianze di famiglia possono esistere dei tratti comuni essenziali non esibiti, ed il fatto che non sono esibiti non significa che essi non esistano. La teoria costituzionale di George Dickie analizzata nel prossimo capitolo farà infatti riferimento ad una proprietà comune non esibita.

capitolo 4
Contesti istituzionali

La teoria istituzionale è una teoria che si propone di identificare lo status di opera d'arte in base a delle proprietà che non sono necessariamente visibili nell'opera. È una teoria che, in altre parole, ci spiega o tenta di spiegarci perché Fountain di Duchamp è un'opera d'arte e non un gabinetto capovolto. In seguito agli sviluppi post-duchampiani, la presenza nella realtà di opere come The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone living di D. Hirst, le Brillo boxes di Andy Warhol e tantissime altre opere del periodo contemporaneo rendono necessario rivedere il concetto di arte. Le teorie funzionalistiche come La forma significante di Bell è evidente che sono diventate inadeguate infatti esse non includono queste opere che ormai sono state accettate nel mainstream del circuito dell'arte da parte delle istituzioni.

Autore di questa teoria è il filosofo americano George Dickie che si muove partendo dalle considerazioni del critico e filosofo Arthur Danto, il quale, osservando la Brillo Box di Andy Warhol che visivamente è molto simile alla omonima scatola di detersivo, si domanda cosa rende la prima, un'opera d'arte. Poiché la differenza dalla normale scatola di detersivo non risiede in un elemento visivo egli giunge alla conclusione che è la teoria, cioè un qualcosa di non visibile, a renderla diversa. Per Danto, oggetti indistinguibili visivamente possono avere proprietà molto diverse.

Vedere è un'attività impregnata di teoria e quello che noi sappiamo su ciò che vediamo influenza l'esperienza che ne facciamo. John Berger nel libro Ways of seeing sottolinea che il dipinto di Van Gogh di un campo di mais con alcuni uccelli che volano assume un aspetto diverso, negli occhi dell'osservatore, se questi sa che si tratta dell'ultimo dipinto di Van Gogh, quello immediatamente precedente il suo suicidio.

La teoria istituzionale nella sua prima stesura dice che l'opera d'arte è un artefatto ed ha un insieme di aspetti per quali le è stato conferito lo status di candidato per l'apprezzamento da parte di una o più persone che agiscono per conto di un'istituzione sociale (che sarebbe poi il mondo dell'arte)

Considerazioni
_La teoria potrebbe sembrare élitista in realtà non lo è perché Dickie considera «persona appartenente al mondo dell'arte» chiunque si ritenga tale e considera «artefatto» qualsiasi cosa venga scelta da qualcuno ad essere candidata all'apprezzamento. Per esempio anche un pezzo di legno levigato dagli agenti atmosferici semplicemente prelevato o addirittura indicato, lasciandolo là dove si trova, diventa, per il filosofo, un artefatto.

_Fondamentale è che Dickie sta dando una definizione «classificatoria», non «valutativa». Egli non dice per esempio che lo squalo di Hirst sia degno di essere apprezzato (valutazione) bensì dice che è un'opera d'arte perchè (1): è un artefatto, (2): l'artista stesso l'ha investito del ruolo di candidato per l'apprezzamento, in questo caso presentandolo in una mostra.  Anche se si disprezza questo lavoro di Hirst, se si dice «ma quello non è arte!», si sta usando il termine arte in modo valutativo mentre per Dickie la definizione di opera d'arte è meramente classificatoria (non a caso usa il termine candidato per l'apprezzamento).

_Le opere di esponenti dell'art brut o outsider artists - artisti che non sanno di essere tali, ad esempio persone con problemi psichiatrici - trovano la collocazione nello status di opere d'arte solo dopo che qualcuno che appartiene coscientemente al mondo dell'arte le ha prese in considerazione e le ha candidate all'apprezzamento. È un esempio il caso di Alfred Wallis, un marinaio in pensione che dipingeva «per compagnia» delle navi, e che è stato scoperto dai pittori Nicholson e Wood. Le opere di Wallis oggi sono pienamente accettate come opere d'arte anche se al momento della loro creazione erano il semplice passatempo di un uomo in pensione che aveva da poco perduto la sua compagna.

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Critiche alla teoria istituzionale di Dickie

_Dando la possibilità a chiunque di conferire lo status di opera d'arte, Dickie viene accusato di banalizzare il concetto stesso di arte e di non fornire informazioni utili su cosa essa sia.
_La critica più sofisticata consiste nel chiedersi perché certi oggetti vengono candidati all'apprezzamento ed altri no. Se ci fosse un motivo, questo motivo sarebbe esso stesso una teoria e quindi scalzerebbe la teoria istituzionale. Se invece non c'è un motivo a questo punto la scelta assume i connotati di un evento casuale e capriccioso.

Dickie, consapevole di queste inadeguatezze, rielabora la sua teoria definendo in modo più specifico e complesso la figura dell'artista, del pubblico, e del mondo dell'arte. Inoltre presenta un'ulteriore definizione di opera d'arte. Questa seconda teoria, però, perde l'eleganza e la semplicità della prima e in fondo non risolve le domande «che cos'è l'arte?» e «Ma è arte», principalmente perché chi si pone queste domande è interessato ad ottenere una risposta di tipo «valutativo». In altre parole è di scarso interesse sapere che un oggetto sia o meno un'opera d'arte, se poi la parola «opera d'arte» è vuota di valore.

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Un'alternativa: Jerrold Levinson e la sua teoria storico-intenzionale

Levinson, convinto che si potesse formulare una teoria essenzialista basata su proprietà comuni non esibite, prende spunto dalla teoria istituzionale di Dickie per elaborarne una propria la cui definizione è:
«Un'opera d'arte è una cosa (articolo, oggetto, entità) che è stata seriamente intesa per essere considerata-come-un'opera-d'arte - ovvero considerata nel modo, qualunque esso sia, in cui precedenti opere d'arte sono o sono state correttamente considerate»
Per Levinson è importante l'intenzione da parte dell'artista - che può essere anche un intenzione inconscia, includendo gli outsider artists - ed è importante possedere i diritti sull'oggetto che viene trasformato in opera d'arte (non si può dichiarare tutto il mondo un'opera d'arte).

Anche la teoria di Levinson però risulta troppo inclusiva. Per l'autore del libro tutti i più importanti tentativi filosofici di definire l'arte si sono dimostrati in qualche misura inadeguati.

capitolo 5
Conclusioni

Appurato che il formalismo di Bell, l'espressionismo di Collingwood, la negazione di Wittgenstein sulla possibilità di una teoria essenzialista e la teoria istituzionale di Dickie non hanno, in modo inconfutabile, risposto alla domanda «Che cos'è l'arte?», Warburton si accinge a trarre le sue conclusioni:

Egli pensa che probabilmente non ci sia una spiegazione omnicomprensiva di che cosa sia l'arte e quindi ha poco senso impegnare la propria vita nella ricerca di una definizione. Ciò che invece è importante, considerato il ruolo centrale che l'arte può occupare nella vita di ognuno, è relazionarsi di volta in volta con delle opere specifiche e concrete, cercando di capire perché esse, in quel particolare caso, sono delle opere d'arte. L'autore attribuisce quindi una connotazione positiva al significato stesso della parola arte un valore aggiunto e non un mero atto classificatorio. Ritiene inoltre che se ne possa parlare pur nella consapevolezza del fatto che si tratta di un termine che nella sua essenza, rimane non definito.

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